Creative Executions. Loredana Longo
Creative Executions è l’atto finale, il testimone delle tre azioni performative che Loredana Longo ha realizzato con Officine Saffi nel corso dell'anno.Chi ha indagato la sua ricerca artistica, sa che Loredana Longo è capace di relazionarsi di volta in volta con discordanti materie e processi creativi mediante una prestanza singolare, che unisce dialetticamente vigore e progetto, forza fisica a materiali insieme soavi e (contestualmente) energici, includendo nel processo creativo il ruolo contemplativo del pubblico partecipante.
Con il gesto performativo, ci ricorda Irene Biolchini, l’artista vuole farci riflettere sull’estetica della violenza, un tema che da oltre un ventennio caratterizza il suo lavoro.Il boato di un’esplosione, la disintegrazione fisica degli oggetti realizzati, per queste azioni, in ceramica, un materiale da sempre presente nella ricerca artistica di Loredana Longo, ci conducono a una riflessione su ciò che la violenza, vissuta o percepita, lascia nelle vite di tutti noi.
Ed è forse questo l’elemento più dirompente nel lavoro di Loredana Longo: perché nulla della violenza che ci circonda viene proposto letteralmente. Lo spettacolo pirotecnico dell’esplosione non è didascalico: non vediamo un’esecuzione davanti ai nostri occhi. Eppure vediamo un’esplosione, ne percepiamo la detonazione, vediamo collassare davanti a noi decine di cilindri in argilla fresca, disposti in file regolari.Rinunciando alle immagini o all’espressione verbale che hanno caratterizzato buona parte del suo lavoro, Longo indaga la struttura autosufficiente della forma, le sue abrasioni, le sue parti concave e convesse, le escoriazioni e le penetrazioni della materia nella materia stessa dell’opera. La costellazione di frammenti ceramici che si compone dopo ogni performance evidenzia il post war di un campo di battaglia: brandelli ripiegati su sé stessi, bucati, violentati da un’esplosione con risultati inaspettati e – soprattutto – imprevedibili.
Il vero problema con me stessa - riferisce l’artista – «è che io non voglio sapere cosa accadrà di preciso, amo quell’imperscrutabilità della forma che prenderanno le cose, come la vita». Dal caos primigenio sono nate nuove forme. Sono reperti di un mondo distrutto e che, nonostante tutto, respira, resiste.
Il progetto è in collaborazione con FPAC- Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (Milano, Palermo)
Con il gesto performativo, ci ricorda Irene Biolchini, l’artista vuole farci riflettere sull’estetica della violenza, un tema che da oltre un ventennio caratterizza il suo lavoro.Il boato di un’esplosione, la disintegrazione fisica degli oggetti realizzati, per queste azioni, in ceramica, un materiale da sempre presente nella ricerca artistica di Loredana Longo, ci conducono a una riflessione su ciò che la violenza, vissuta o percepita, lascia nelle vite di tutti noi.
Ed è forse questo l’elemento più dirompente nel lavoro di Loredana Longo: perché nulla della violenza che ci circonda viene proposto letteralmente. Lo spettacolo pirotecnico dell’esplosione non è didascalico: non vediamo un’esecuzione davanti ai nostri occhi. Eppure vediamo un’esplosione, ne percepiamo la detonazione, vediamo collassare davanti a noi decine di cilindri in argilla fresca, disposti in file regolari.Rinunciando alle immagini o all’espressione verbale che hanno caratterizzato buona parte del suo lavoro, Longo indaga la struttura autosufficiente della forma, le sue abrasioni, le sue parti concave e convesse, le escoriazioni e le penetrazioni della materia nella materia stessa dell’opera. La costellazione di frammenti ceramici che si compone dopo ogni performance evidenzia il post war di un campo di battaglia: brandelli ripiegati su sé stessi, bucati, violentati da un’esplosione con risultati inaspettati e – soprattutto – imprevedibili.
Il vero problema con me stessa - riferisce l’artista – «è che io non voglio sapere cosa accadrà di preciso, amo quell’imperscrutabilità della forma che prenderanno le cose, come la vita». Dal caos primigenio sono nate nuove forme. Sono reperti di un mondo distrutto e che, nonostante tutto, respira, resiste.
Il progetto è in collaborazione con FPAC- Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (Milano, Palermo)